INTRODUZIONE
La sera del 25 ottobre
1958 l'ufficiale del conclave accompagnò Roncalli al suo appartamentino,
ricavato in un alloggio della Guardia Nobile, nel palazzo vaticano. Sulla porta
dell'alloggio era rimasta la scritta: Il Comandante.
Il card. Roncalli non
pensava davvero di poter diventare «il comandante»? Difficile
rispondere. Dal contesto delle sue parole in quei giorni, dai suoi
atteggiamenti, insolitamente silenziosi e quasi sempre senza sorriso, si
dovrebbe dedurre che in qualche modo un timore l'avesse, e paventasse la
"sventura" di cui aveva parlato a Venezia con Daniel Rops.
Il card.
Roncalli era giunto a Roma il 12 ottobre, e aveva preso alloggio alla Domus
Mariae, sulla via Aurelia, a dieci minuti di macchina da San Pietro. Una certa
sorpresa l'aveva avuta alla stazione Termini, all'arrivo. Una folla insolita di
gente che lo stupì: vecchi amici romani, veneziani di passaggio a Roma,
colleghi della curia, e sconosciuti ammiratori che si pigiavano sulla pensilina
a sorridergli, e a ricevere il sorriso del suo volto, anche se era chiaramente
un sorriso più tenue e pensoso delle altre volte.
Roncalli sorrise,
e benedisse tutti; quindi si recò alla Domus Mariae. Voleva andare in
Vaticano il tempo strettamente necessario, non di più. Se si fosse fatto
vedere spesso, non avrebbe potuto sfuggire alla curiosità dei fotografi e
dei giornalisti, anche dei più pettegoli; e per lui quell'ora era invece
l'ora della preghiera, della meditazione, dell'umiltà e della
responsabilità.
Le mattinate erano dedicate alle consultazioni
pre-conclave, come d'obbligo. Pur senza fare nessun nome di candidato
particolarmente indiziato, i cardinali mettevano a fuoco insieme i problemi
più gravi della Chiesa e le necessità della successione,
orientandosi gradualmente verso i candidati più probabili, dei quali
tuttavia avrebbero segnato il nome esplicito solo nelle segretissimo schede
della votazione sotto le volte della Sistina, dopo aver invocato lo Spirito
Santo perché desse alla Chiesa un degno successore di colui che il mondo
aveva chiamato Pastor angelicus.
Nei pomeriggi, invece, Roncalli riprendeva
contatto con tutte le memorie e le presenze di Roma, quelle che più
avevano influito sul suo spirito e sul corso della sua vita. Appena arrivato a
Roma, era andato a pregare sulla tomba di Papa Pacelli, al quale doveva la
porpora e il ministero felice di Venezia. Ed aveva sostato anche sulla tomba
vicina, quella di Papa Sarto, il suo predecessore a Venezia. Non si rendeva
certamente conto di essere inginocchiato davanti alla tomba di due predecessori,
ai quali era e sarebbe successo per una misteriosa volontà della
Provvidenza. Lì, in ginocchio, col cuore in pace eppure trepido, stava
prendendo inconsapevolmente le consegne per l'inizio di uno dei più
sconvolgenti pontificati della storia della Chiesa.
«HO GRAN BISOGNO DEI SANTI»
Rivide e pregò nella chiesa di Santa Maria
in Monte Santo, nella quale era stato ordinato sacerdote cinquantaquattro anni
prima; pregò nella chiesa di San Carlo al Corso, dov'era stato consacrato
vescovo. Non mancò una sosta alla Chiesa Nova, davanti all'urna che
contiene le ceneri di uno dei santi da Roncalli più amati e imitati
insieme a San Francesco di Sales: San Filippo Neri, "Pippo il buono", di cui
sentiva congeniale, in modo tutto particolare, quel sano umorismo che era sempre
stata una forma d'igiene e di umiltà nella sua lunga vita. Accanto alla
tomba di San Filippo c'era quella del "suo" Cesare Baronio, da cui aveva desunto
il motto pontificale - Obbedienza e pace - che non avrebbe smentito nemmeno da
Papa.
In quei giorni, sentiva sempre più profondo il bisogno di
amici e di santi. Era come se la intuizione di quanto stava per accadergli,
nonostante le garanzie che gli offriva la sua umiltà, si facesse via via
certezza; ed egli si ritrovava a tendere il cuore e le mani, finché era
in tempo perché, qualunque fosse la volontà di Dio, egli fosse in
grado di accettarla e di compierla nella più perfetta
obbedienza.
Scrivendo al rettore del seminario di Venezia, non sapeva di
domandare per sé ciò che domandava per il successore di Pio XII:
«Come per il Pontefice che è morto, e ora ascende alla gloria...
pregate per il suo successore, chiunque egli sia, perché non interrompa
la continuità, e piuttosto egli possa proseguire e seguitare l'eterna
giovinezza della Santa Chiesa, la cui missione è sempre stata quella di
condottiera delle anime sino agli alti cieli dove si adempie la promessa
evangelica, e, santificata, la vita umana si tramuta in vita eterna... Adesso
sto per entrare in conclave, e reco con me l'immagine della Madonna della Salute
e il ricordo dei miei cari seminaristi, coi quali intendo riprendere il nostro
lavoro ancora più uniti e con sempre maggior devozione. Non manco di
ricordare che faccio grande affidamento sulle preghiere dei miei seminaristi ai
quali, insieme con tutti i lor degni superiori, qui dalla tomba di San Pietro,
che chiamava Marco suo figlio, invio, abbracciandoli, la mia
benedizione».
A mons. Montini scriveva, con uno struggimento di
fiducia evidente: «Ho gran bisogno dei santi. Perciò mi rivolgo a
lei che è così vicino ai santi dei quali sono particolarmente
devoto... Raccomando la mia anima a Sant'Ambrogio e a San Carlo
Borromeo».
Il conclave vero e proprio stava per cominciare. Anche
Roncalli, come tutti gli altri cardinali, aveva prestato giuramento nelle mani
del Camerlengo, secondo l'obbligo del Diritto Canonico, che si impegnava
solennemente a non far patti, né a prendere obblighi, circa l'elezione
del nuovo Papa e che sarebbe stato "cieco" e "sordo" sia su se stesso che sugli
altri, anche se fosse venuto a sapere, per qualsiasi circostanza, d'essere stato
incluso nella rosa dei «papabili». Non mancavano le allusioni facete
ed affettuose degli altri cardinali sul suo conto. Ma egli si schermiva subito,
ricorrendo al tradizionale ritornello secondo il quale «chi entra in
conclave Papa ne esce cardinale».
I cardinali giunti a Roma per il
conclave erano cinquantadue. La morte improvvisa di Edward Mooney, arcivescovo
di Detroit, avvenuta proprio la mattina del 25 ottobre, poco dopo la
celebrazione della messa dello Spirito Santo, li ridusse a cinquantuno.
Le
supposizioni e le illazioni della stampa di tutto il mondo erano qualche volta
persino divertenti. Pur di impressionare i lettori, si ricorreva alle
supposizioni più strane e azzardate. Tuttavia la rosa dei
«papabili» si andò precisando sin dai primi giorni, e la stampa
non andò molto lontana dal vero nel puntare sui nomi più noti e
indicativi come quelli dai quali avrebbe dovuto uscire il nuovo Papa. Si
saprà forse un giorno di come si giunse, per graduale eliminatoria,
all'indicazione di Roncalli come uomo di intermezzo e d'attesa, come «Papa
di transizione». Ma questo dovette essere - oltre che un disegno della
Provvidenza - anche di una constatazione molto semplice cui giunsero i cardinali
elettori: se per un Papa straniero non era ancor giunto il momento, nemmeno su
uno dei candidati italiani più qualificati si riuscì a trovare
l'accordo. Ci dovette essere, in qualche modo, una specie di «braccio di
ferro» fra le due correnti. E quando si vide la parità delle forze
elettive, si dovette ripiegare su un «terzo uomo»; e quest'uomo fu
Roncalli.
Sulla stampa, anche in Italia, il suo nome, in quei giorni, fu
fatto poco, a dire il vero, e molti dei giornalisti e dei vaticanisti che lo
segnalarono, in un primo tempo, lo fecero più tenendo conto del fatto che
si trattava dell'arcivescovo di una delle più importanti città
d'Italia, e del successore a Venezia di un Papa come Pio X, che per convinzione
dei meriti effettivi di Roncalli per l'elezione a Pontefice.
Piuttosto
diversamente dovettero invece andare le cose oltre le mura del conclave.
Roncalli si rese conto molto presto del crescere della stima e del credito che
gli veniva fatto, anche per ragioni «tattiche», sia da chi lo
conosceva sia da chi non lo conosceva. Probabilmente, coloro che meglio
compresero il suo valore e si fecero sostenitori della sua candidatura furono
due suoi vecchi amici e colleghi di porpora: il card. Dalla Costa, arcivescovo
di Firenze, e il card. Fossati, arcivescovo di Torino. Quest'ultimo, nonostante
il segreto a cui era tenuto, dettando la prefazione al «Giovanni
XXIII» di Leone Algisi, ha lasciato intuire qualcosa della trepida
solidarietà che vi fu tra loro nelle celle vaticane in quelle ore di
ansia e di preghiera: «Eravamo vicini di cella; e non credo di venir meno
all'obbligo di un segreto, da cui del resto sarei certo di essere assolto dalla
grande e indulgente bontà del Santo Padre, se dico che, a un certo
momento, l'amico ha sentito il bisogno di entrare nella cella dell'amico,
confortans eum. Poi venne la elezione alla grande responsabilità del
governo della Chiesa universale; e con la nomina ritornò nel suo animo
l'abituale serenità sorridente: la volontà di Dio si era ormai
chiaramente manifestata e quindi non c'era più motivo per essere dubbioso
e preoccupato».
Su questa concordanza dei più vecchi cardinali
italiani, molto probabilmente s'inserì la solidarietà dei
francesi, che avevano avuto modo, in otto anni, di conoscere in Roncalli uno
straordinario «uomo nuovo» degno e capace di portare la Chiesa sulle
strade più coraggiose. È stato detto e scritto che i francesi sono stati
i «grandi elettori» di Papa Roncalli, e dev'essere vero, anche se, in
un primo tempo, sembra che anch'essi abbiano puntato su nomi più noti ed
esteriormente rappresentativi.
La cronaca del conclave non è stata
registrata ancora per tutti. Ma il suo clima, misurato sull'anima e sulla
sensibilità di Roncalli, è già eloquente. Il Popolo di Dio
- credenti e non credenti - quello stesso che poi ne avrebbe avuto incantato ed
illuminato il cuore tanto profondamente - ha cercato di risalire all'origine, di
comprendere "come" l'«uomo mandato da Dio» è stato eletto al
"servizio" della carità e della verità. Anche se, nel ricostruire
i fatti, usa più la fantasia che la documentazione storica, chi gliene
potrà far colpa?
«UN PONTE FRA IL CIELO E LA TERRA»
Nei giorni precedenti al conclave vero e proprio,
Roncalli ebbe molte occasioni per misurare e venerare il mistero anche
geografico della università della Chiesa. Anche se d'oltrecortina non
aveva potuto giungere che un cardinale, Stefan Wyszynski, di Polonia, quella che
in quegli anni si era convenuti di chiamare «la Chiesa del silenzio»
era più che efficacemente rappresentata. Wyszynski era stato imprigionato
dai nazisti e dai comunisti, e questi ultimi solo a malincuore gli avevano
lascialo varcare il confine.
Mindszenty, invece, il primate di Ungheria,
non aveva potuto lasciare la dimora volontaria della legazione americana di
Budapest, benché gli Stati Uniti avessero fatto di tutto per ottenergli
da Kadar il permesso di partecipare al conclave. Assente era anche Stepinac,
arcivescovo di Zagabria; i loro stalli, nella sala del Concistoro, restavano
vuoti durante le consultazioni del pre-conclave. La Chiesa libera e viva era
evidente accanto alla Chiesa prigioniera e perseguitata; i posti vuoti erano
eloquenti quanto i posti occupati. Si era alla vigilia del grande "disgelo",
della sperata e inattesa "distensione", nel mondo e nella Chiesa; e tuttavia
pochi, in quei giorni decisivi, intuirono che molto per il clima dei rapporti
umani nel mondo, dipendeva proprio dal cardinale che sarebbe stato chiamato alla
successione di San Pietro.
Viene da domandarsi con che cuore, in quei
giorni, Roncalli abbia scorso i giornali italiani e stranieri, e come abbia
giudicato il credito impercettibile ma crescente che il suo nome andava
acquistando. Tuttavia non avrebbe potuto rendersi conto, dopo il 25, che quel
nome cresceva ogni momento nei calcoli di probabilità. Oltre la soglia
murata e sigillata del conclave non entravano giornali e notizie dall'esterno: i
senatori della Chiesa erano soli con se stessi e con lo Spirito
Santo.
Attenuandosi l'interesse biografico e celebrativo della stampa per
il Papa morto, si andava accentuando quello per il Papa che presto la
«fumata bianca» del comignolo della Cappella Sistina avrebbe
annunziato. Chi è stato in quei giorni nella redazione d'un giornale
qualsiasi, ricorda come il calcolo delle probabilità, e l'ampiezza della
rosa dei «papabili», imponessero alla stampa un margine di sicurezza
nel preparare le biografie complete e dettagliate dell'eventuale eletto. Ogni
giornale e rivista che si rispettasse, aveva già pronta in piombo la vita
e la carriera di cardinali come Ottaviani, Agagianian, Siri, Lercaro, Ruffini,
Aloisi Masella. C'era, naturalmente, anche la biografia di Angelo Giuseppe
Roncalli.
Qualcuno osava pensare al Papa straniero, ma solo per far del
«colore». L'ultimo Papa non italiano era stato Adriano VI, un olandese
morto nel 1523. I soli stranieri che, al momento del conclave, avessero qualche
possibilità di essere eletti erano in effetti soltanto due: Agagianian,
che del resto, benché appartenesse alla Chiesa orientale, poteva
considerarsi romano per il lungo soggiorno in curia, e Spellman, arcivescovo di
New York, in quanto si sapeva dell'aiuto concreto dato dagli Stati Uniti alla
Santa Sede perché aiutasse le vittime della guerra e la ricostruzione
degli organismi ecclesiastici logorati dal grande flagello. Qualcuno faceva
anche il nome di Tisserant, ma con meno convinzione.
La mattina
dell'apertura del conclave, in San Pietro venne solennemente cantata la messa
dello Spirito Santo. Seguì il rituale discorso in latino di mons. Bacci,
segretario dei brevi, il quale delineò il suo carattere che a parer suo
avrebbe dovuto rivelare il pontefice ideale che i cinquantun cardinali si
apprestavano a scegliere dalla loro stessa famiglia.
Mons. Bacci disse, fra
l'altro: «Sia il nuovo Vicario di Cristo come un ponte fra il cielo e la
terra... Sia come un ponte fra le varie classi sociali; sia un ponte fra tutte
le nazioni anche fra quelle che respingono od osano combattere temerariamente la
religione cattolica... Soprattutto, Eminentissimi Padri, è necessario un
pontefice che rifulga per la santità della propria vita e possa impetrare
da Dio tutte le cose necessarie al governo della Chiesa e che i doni di natura
non possono offrire... Date alla Santa Romana Chiesa Universale un pastore tale
nel più breve tempo possibile, guidati dal più acceso zelo,
dimenticando ogni preoccupazione terrena, e fissando i vostri occhi soltanto in
Dio».
Era già il profilo di Papa Roncalli, soprattutto
nell'accenno alla santità della vita e alla possibilità di gettare
un ponte di unione fra tutti gli uomini. Ma Roncalli non poteva saperlo. Dopo la
messa si recò alla Domus Mariae, raccolse le cose che gli sarebbero state
più necessarie per quei brevi giorni - che invece sarebbero poi stati
più lunghi del previsto - e s'incamminò pensoso verso
l'appartamento della Guardia Nobile, dov'era stato ricavato l'alloggio per lui e
per il fedelissimo segretario.
La vita dei conclavisti è un incrocio
fra quella dei prigionieri e degli anacoreti. È oltre tutto, il contrario di
una vita comoda. Per alcuni cardinali, già avanti con gli anni ed
abituati alle minime comodità necessarie ai vecchi, quei brevi giorni
dovettero apparire come la penitenza più dura che da parecchi anni era
stato loro chiesto di esercitare.
Pare che, oltre tutto, nel conclave del
1958 ci fosse, per i cardinali, anche un elemento imprevisto di ulteriore
mortificazione: la non certo raffinata cucina delle suore di Santa Marta. Nelle
cellette poi non c'era posto che per un letto semplicissimo, per un tavolinetto,
per un inginocchiatoio, una lampada e tutto l'occorrente per scrivere. Oltre ai
cinquantun cardinali, erano state «murate vive» dal governatore del
conclave altre duecento persone tra segretari, camerieri, suore, servitori, non
mancavano due medici, un farmacista, operai elettricisti, falegnami,
operai.
Raggiunta la Sala dei Paramenti, verso le sedici del pomeriggio, il
corteo dei cardinali si diresse dalla Cappella Paolina alla Sistina, al canto
del Veni, creator Spiritus. A due a due i cardinali erano scortati da due
guardie svizzere. Nessuno sapeva chi di quegli uomini, fra uno o più
giorni, sarebbe stato eletto: e si rendeva onore a ciascuno, oltre che come a un
principe della Chiesa, come al probabile successore del Papa defunto. Rivestiti
con gli abiti scarlatti, i cardinali, accompagnati dal canto del coro della
cappella papale, si incamminarono verso la Cappella Sistina. Sulla parete
più alta i riflessi del sole illuminavano il più grande affresco
cristiano: il Giudizio di Michelangelo. Tutti, certamente guardarono a quella
tragedia divina ed umana, ed ebbero il senso della loro immensa
responsabilità. Roncalli non dovette essere esente da questo senso di
responsabilità; ma non può non averlo soccorso, anche in quel
momento, la tranquillità di una coscienza che si era andata
ininterrottamente preparando alla morte.
Dopo le preghiere prescritte
secondo la recente costituzione apostolica promulgata da Pio XII - Vacantis
Apostolicae Sedis - tutti i cardinali ripeterono il giuramento di rito:
«Davanti a quest'uomo di Dio, con la mano sul santo Vangelo, io giuro di
osservare un assoluto ed inviolabile segreto su tutto quanto verrà a mia
conoscenza e riguardante l'elezione del nuovo pontefice. Serberò
parimenti il segreto per ogni questione che venisse discussa dal Sacro Collegio
nel conclave e per tutte le operazioni di scrutinio. Giuro inoltre che non mi
servirò della radio, né del telegrafo, né del telefono,
né di qualsiasi altro mezzo di trasmissione o recezione di messaggi, come
pure non mi servirò di apparecchi fotografici né di macchine da
presa cinematografiche. Io osserverò questo giuramento sotto pena di
scomunica che potrebbe essermi tolta soltanto da speciale decisione del nuovo
sommo pontefice».
Finalmente tutti si ritirarono nelle loro celle. Che
cosa sarà passato nel cuore di ognuno? Che cosa avrà pensato
Roncalli di quel momento, di quella responsabilità? Sappiamo che si
dedicò soprattutto alla preghiera; sappiamo che non gli mancarono momenti
di timore e di turbamento, via via che sentì crescere le
probabilità d'essere eletto. Gli accenni del card. Fossati al bisogno di
consolare l'amico Roncalli appaiono molto significativi.
Quando tutti
furono sistemati nei loro alloggi, il conclave venne definitivamente sigillato;
il maresciallo del conclave pose i sigilli all'esterno, mentre lo stesso faceva
dall'interno il governatore del conclave, mons. Federico Callori di Vignale. La
campana che annunziava concluse le operazioni di sistemazione dei cardinali
rintoccò fra le antiche mura vaticane alle sei e otto minuti in punto. Da
quel momento gli elettori del pontefice non potevano confidare su nessuno
all'esterno.
Mentre fuori, specialmente sui fogli di stampa più
vivaci e spericolati, cominciava la ridda delle «voci incontrollate»
riguardo alle punte di favore riscosse ora da questo ora da quel cardinale,
dentro regnava il silenzio, la preghiera era il respiro ordinario di quegli
uomini votati a Dio e alla Chiesa in un'ora che è sempre storica, ma che
quella volta sarebbe stata anche di particolare risonanza nel mondo.
Due
volte al mattino e due volte al pomeriggio, per due lunghi giorni, la fumata fu
sempre «nera». Invano la folla che assiepava piazza San Pietro cercava
di veder bianco il fumo che era nero. I cardinali, soli davanti a Dio, segnavano
sulle schede, quattro volte al giorno, con calligrafia volutamente alterata per
rendere più assoluto il segreto, il nome di colui che avevano prescelto:
«Io eleggo come Sommo Pontefice il reverendissimo Signor
Cardinale...». Prima di deporre la scheda sulla patena d'argento
scintillante sull'altare damascato in verde, ogni votante scandiva le parole di
rito: «Chiamo a testimone Cristo Signore, che mi deve giudicare, che io
eleggo quello che credo di eleggere secondo Dio».
Ogni volta che lo
spoglio delle schede non rivelava la maggioranza richiesta per l'elezione, le
schede stesse, mescolate a paglia umida, venivano bruciate in una rustica stufa:
nasceva da quel fuoco pigro la «fumata nera».
Il nome di Roncalli
andava crescendo negli elenchi delle preferenze, e le due correnti più
decisamente e nettamente opposte si andavano trovando sempre più
d'accordo sul suo nome. Stava nascendo già quello che poi sarebbe stato
definito «il Papa di transizione», l'uomo di ripiego che tuttavia, in
soli quattro anni e mezzo, avrebbe dato alla Chiesa un nuovo aspetto esteriore
ed al mondo il respiro della più inimmaginabile speranza.
Quel
convergere di simpatie recava serenità ai più angustiati dei
cardinali, e salvava dall'incertezza i meno sicuri nelle loro scelte. Uno solo
cominciava a tremare nel suo cuore, e a guardare con sgomento alla
possibilità che si potesse davvero pensare a lui come ad un
Papa.
Presto il timore, e la ipotesi sconvolgente divennero certezza: con
il primo scrutinio del pomeriggio del 28 ottobre, Roncalli seppe d'aver
raggiunto la maggioranza; seppe d'essere Papa per volontà dello Spirito
Santo e per designazione dei suoi fratelli cardinali. Non si sgomentò, ma
pregò il Signore di soccorrere la sua miseria. Non si perse d'animo.
L'obbedienza che lo aveva fatto sacerdote e vescovo, patriarca e cardinale, lo
fece anche Papa. Subito ritrovò la pace dello spirito. Pensò
addirittura al nome che intendeva assumere.
«MI CHIAMERÒ GIOVANNI»
Hatch così commenta l'istante in cui
Roncalli seppe d'essere diventato Vicario di Cristo e Successore di Pietro:
«Non v'è dubbio che il cardinal Roncalli non voleva essere eletto
pontefice. Era sincero quando, alla stazione di Venezia, diceva che la miglior
fortuna che potesse capitargli era quella di ritornare presto nella città
dove aveva trascorso gli anni più belli della sua vita. Ma a questi
ricordi di un passato felice, come a tutti i ricordi e specialmente in quel
momento, egli concesse soltanto pochi istanti. Inginocchiato nella propria
cella, egli pensava già certamente alle parole che avrebbe dovuto dire
quando fosse venuto il momento tanto temuto. E pensò anche al nome che
avrebbe assunto e come avrebbe spiegato la sua decisione ai cardinali e al
mondo».
Finita la lettura delle schede di quello che era l'ultimo
scrutinio, nessuno ebbe più dubbi. Ci fu un momento di silenzio. Dio
aveva scelto, lo Spirito Santo aveva trovato e rivelava al mondo l'uomo
più docile alle sue ispirazioni. I cardinali Tisserant, Van Roy e Canali,
che rappresentavano i tre Ordini dei cardinali preti, dei cardinali vescovi e
dei cardinali diaconi si alzarono, in quel silenzio inviolato, si recarono
davanti al tronetto di Roncalli, sempre pallido, ma già sereno, e gli
domandarono, con le parole rituali: «Accetti la tua elezione, canonicamente
compiuta, a Sommo Pontefice?».
La pausa che seguì parve senza
fine. Il figlio di Battista e di Marianna Roncalli chiamò, in
quell'istante, insieme all'aiuto del Signore, anche le presenze e il soccorso
degli affetti e degli esempi che ne avevano fatto, sui campi di Sotto il Monte e
per le vie dell'Oriente e dell'Occidente, un uomo disponibile totalmente a Dio.
La sua voce, quando rispose, era solitamente bassa, velata da un'umiltà
che diventava commozione in lui e negli altri: «Ascoltando la tua voce,
tremens factus sum et timeo. Ciò che io so della mia povertà e
pochezza, basta alla mia confusione. Ma vedendo nei voti dei miei fratelli
eminentissimi cardinali di nostra Santa Romana Chiesa il segno della
volontà di Dio, accetto l'elezione da essi fatta e chino il capo e le
spalle al calice dell'amarezza e al giogo della croce. Nella solennità di
Cristo Re tutti abbiamo cantato: "Il Signore è nostro giudice, il Signore
è nostro legislatore, il Signore è nostro Re. Egli ci
salverà"».
Appena ebbe finito di parlare, tutti gli altri
cardinali abbassarono il baldacchino sul proprio tronetto, in segno di
obbedienza e devozione al loro nuovo padre e pastore. Rimase alto solo quello di
Roncalli.
Il card. Tisserant proseguì chiedendo al neo eletto che
nome intendesse scegliersi come pontefice. Roncalli rispose, con voce già
più sicura: «Mi chiamerò Giovanni, un nome dolce e nello
stesso tempo solenne».
I cardinali non seppero trattenere un moto di
sorpresa, ed un mormorio si diffuse nella cappella. Scegliere quel nome era
già un segno di novità. Ed era anche un atto di coraggio, una
specie di sfida a certe ombre della storia della Chiesa. Giovanni XXIII,
infatti, era stato il nome di un antipapa; e nessun pontefice aveva osato
assumere quel nome, e accettarvi accanto quel numero, che sembrava simbolo di
divisione e di tristezza nella Chiesa. Colui che sarebbe stato il Papa
dell'unione, annullava pregiudizi e timori, e tornava indietro nel tempo, per
avere un nome che non fosse legato a nulla di contemporaneo e di esplicito e
programmatico. Se legami profondi Roncalli trovava in quel nome, erano tutti
legami domestici, di santità e di devozione, di soavi ricordi e di
simboli espliciti. Infatti precisò: «Questo nome ci è dolce
perché è il nome di nostro padre. Ci è soave perché
è quello del titolare dell'umile parrocchia in cui ricevemmo il
battesimo; e il nome solenne di innumerevoli cattedrali, ed in primo luogo della
sacrosanta basilica del Laterano, nostra cattedrale. È nome che nella
lunghissima serie dei romani pontefici gode di un primato numerico; infatti sono
enumerati ventidue pontefici di nome Giovanni di legittimità
indiscutibile; quasi tutti ebbero un breve pontificato. Abbiamo preferito
coprire la piccolezza del nostro nome dietro quella magnifica successione di
romani pontefici».
E concluse: «Iddio benignamente conceda,
venerabili fratelli, che noi possiamo, con l'aiuto della grazia divina, avere la
stessa santità di vita e la fortezza d'animo (del primo pontefice di
questo nome), fino a raggiungere, se a Dio piacerà, lo spargimento del
sangue».
Umiltà e coraggio distinsero quella scelta, che
avrebbe provocato molto presto un'applicazione ancora più profonda al
Vangelo, e da parte di un uomo a Roncalli particolarmente congeniale: il
Patriarca Atenagora I di Costantinopoli, che disse di lui: «Vi fu un uomo
mandato da Dio, il cui nome era Giovanni». L'umiltà di scegliere il
nome del proprio padre secondo la carne, il coraggio di scegliere il nome e la
cifra storica di un noto antipapa.
Intanto la «fumata bianca»
tanto attesa aveva annunziato al mondo l'elezione del nuovo pontefice. Le
illazioni, durante il tempo che trascorse tra la fumata e l'apparizione del
card. Canali al balcone della basilica di San Pietro, furono frenetiche e
contrastanti. Ma una cosa è sicura: che quasi nessuno s'aspettava di
udire il nome di Roncalli.
I nastri e i film della televisione di tutto il
mondo sono un documento significativo di questa sorpresa. Chi era in piazza San
Pietro o davanti a un teleschermo, o in ascolto accanto a una radio quella sera,
non ha dimenticato quanto avvenne all'annunzio del cardinale diacono: Habemus
Papam Eminemntissimum ac Reverendissimum Dominum Sanctae Romanae Ecclesiae
Cardinalem Angelum Josephum Roncalli qui sibi nomen imposuit Joannes XXIII!
L'applauso rituale non esplose, immediato, né in piazza San Pietro
né davanti ai teleschermi, dove la gente s'era raccolta per attendere la
grande notizia. Fu comunque un applauso incerto, che finì
presto.
Pochi attendevano quel nome. Pochi erano preparati a sapere che
cosa significava, chi indicava quel nome. Solo chi conosceva bene il sacerdote
il vescovo, il delegato, il nunzio, il cardinale, il patriarca Roncalli, si rese
conto di che cosa poteva significare per la Chiesa una notizia del genere. E
tuttavia, anche fra quelli che lo conoscevano bene e lo amavano e da lui erano
amati, i più furono colti di sorpresa. Come sarebbe stato possibile
pensare a lui da quel momento, come al pastore supremo, più che come
all'amico, all'interlocutore dolce e brillante, all'uomo di gusto e di
semplicità che sapeva essere a proprio agio con tutti e
dovunque?
Quello era decisamente un conclave a sorpresa. Ma più a
sorpresa del conclave era il nuovo Papa. Non rientrava né nelle attese,
né nelle speranze di molti. Era nuovo e sconosciuto ai più. Era
stato maturato con amorosa gelosia dalla Provvidenza, ed era stato condotto a
quel giorno e a quell'impegno senza che nemmeno lui lo avesse mai potuto
immaginare.
Chi è questo Roncalli?
Quanti non si posero questa
domanda, quella sera d'ottobre di otto anni fa? Chi ha mai suggerito ai
cardinali questo nome? Nessuno dei nomi previsti era uscito; una istintiva
delusione corse per le case e nelle piazze, mentre Giovanni XXIII appariva,
sereno e sorridente, già a suo agio nelle vesti bianche a poche ore
dall'elezione, a benedire il mondo.
Doveva venire la sera del 3 giugno 1963
perché molti di quelli che la sera del 28 ottobre 1958 avevano patito
delusione, e non l'avevano neanche saputa nascondere, chiedessero perdono, col
cuore straziato e felice, al Papa morente, per quella delusione
lontana.
Anch'io ero fra questi.
L'abbraccio tra il nuovo Papa Giovanni XXIII e Monsignor Angelo Dell'Acqua